a un passo

lui fissa il nulla, io fisso dal nulla;

” Lao Tzu ricorda che ogni viaggio, anche il più lungo, inizia con un singolo passo. Da qui parte la ricerca di Stefano Marson che indirizza il suo sguardo alla prossimità, a quanto dista appena un passo dal suo obiettivo. Questa distanza ravvicinata gli permette analisi accurate, favorite da luci zenitali che pare consentano maggiori certezze, almeno per un poco, il tempo necessario allo scatto. In alcuni casi l’artista si orienta verso visioni interiori indefinite, notturne, capaci di tracciare confini parziali, contorni inaccessibili e sfumati, spesso in movimento. Tutto intorno è silenzio; vi domina il nero intenso e vellutato della profondità. Stefano Marson è in ogni caso custode del limite; la sua ricerca genera desiderio non tanto di riconoscere un oggetto, di ritrarre un luogo, una persona e di narrarne la storia, quanto di accogliere e illuminare l’enigma dell’esistenza che secondo lui si annida lì, a un solo passo. Si avverte nelle sue opere una nostalgia, il bisogno di stare sulla soglia in attesa di qualcosa, di qualcuno: un’alterità che ha dimensioni spirituali e che si cela in un punto impreciso, da cui si può solo intravedere il mondo. Ci sono in queste opere il piacere dell’attesa e la speranza di una risposta che forse è già lì da sempre, ma che necessita dell’immaginazione per svelarsi, della luce come strumento di creazione.

Gli interventi che Stefano Marson realizza in postproduzione servono a rallentare il tempo, a scansionare la gamma dei grigi, ad accendere i bianchi assoluti. Non c’è comunque un abbaglio; il lampo non è un’anomalia ma una scelta.
Se la domanda fosse “perché a un passo?“ Stefano Marson risponderebbe che mai come in questo momento considera necessario mettere al centro le parti più nascoste del sé e della realtà che lo circonda. L’artista si appropria del silenzio interiore e di quello esteriore (cui oggi è difficile attingere, immersi come siamo nel frastuono della vita quotidiana).  Ritrae il silenzio avvicinandosi a lui come a un soggetto, per smettere di guardare il tutto e per vedere finalmente ciò che conta.

La centralità compositiva prescelta consente il riconoscimento dell’importanza della luce che implica sempre una riscrittura della narrazione, anche ad opera di chi legge. Queste fotografie invitano a pensarci coinvolti, ad attivare ricordi ed esperienze trasversali comuni, a sentirci parte di un’umanità attenta e consapevole. Cercare oltre il buio significa non voltare le spalle al mondo ma ascoltarne i suoni e le visioni non ancora sopite. “

Alessandra Santin